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Note Critiche


Flaminio Gualdoni

Occorre iniziare da Nuclear Power Station per addentrarsi nel corso d’invenzione mobile e proliferante che caratterizza, da un decennio a questa parte, l’opera di Edegildo Zava. In questa serie, infatti, si stabilisce la connessione tra il passato cospicuo dell’autore e l’oggi: essendo il passato fatto di un disegno e di una fotografia tecnici, funzionali, esatti e delucidati, ma a proposito di una delle esperienze di più suggestiva visionarietà umana, la costruzione di centrali nucleari. Zava disegnava, allora, e fotografava, impianti grandiosi, dalle meccaniche straniate, dalle forme che erano insieme esaltazione dell’ingegno e brivido in odore di fantascientifico. Inaugurando la stagione della sua vita totalmente e pienamente en artiste, egli da quella sua identità e sapienza ha voluto muovere: e quelle immagini si sono disarticolate e riarticolate in una serie di visioni altre, di inquieta bellezza, al punto esatto di collisione tra l’ossessione novecentesca della macchina – penso a Sheeler, a certo dada/espressionismo tedesco – e il concetto di machine célibataire istituito da Duchamp, a sua volta al confine tra valore di macchina e valore di macchinazione. Ma un secondo, e ben più radicato, orientamento Zava ha ricevuto dall’esperienza operativa precedente: dico il senso di complicità naturale con la tecnica, con le tecniche, che gli ha consentito di immettere nel suo corso di sperimentazione e riflessione modalità differenti e di articolarle in un percorso la cui stessa varietà è sintomo di naturale souplesse operativa (e ciò, in un tempo in cui di mitologie mediatiche si vive, non è trascurabile), essendo ben saldo il piglio espressivo che fa da guida. Disegnare, fotografare, manipolare l’immagine digitale, passare dalla pittura al pixel e viceversa con sovrana naturalezza, combinare e ricombinare più immagini assumendole dal mondo visivo a gradi diversi di artificiosità, realizzare opere inscritte nell’identità storica del quadro oppure aperte all’orizzonte dell’installazione multimediale: non è questo ciò che Zava vuol farci cogliere del suo lavoro, ma attraverso ciò, stante l’assoluta appropriatezza dei mezzi, un ben più vasto a radicale ragionamento intorno all’immagine e alle sue convenzioni. Di tale ragionamento sono frutti diversi e complici le plurime serie operative che l’autore va in questi anni conducendo, ciascuna d’esse caratterizzata da una mozione precisa, ma insieme sconfinante e contaminantesi con altre, in una sorta di continuo rilancio problematico. I temi del naturale e del corporeo, ad esempio, s’incrociano fittamente nei montaggi visivi in cui nudo e paesaggio continuamente s’inseguono, insinuandosi l’uno nell’altro, con assunzioni dirette e orientate eseguite da Zava stesso (è il caso di Figures, Landscapes, Nude Lanscapes, Landscape Dry Nature, Somatic Landscapes, in cui s’assiste a diversi gradi di definizione, sdefinizione e ricostituzione del veduto ordinario) oppure indirette, e variamente manipolate, com’è in Private. Ma Nude Landscapes sono anche una serie di tele nate a partire da un processo di ricostituzione digitale dell’immagine, il quale già ha modificato profondamente, più che l’aspetto, la stessa natura e lo statuto della visione, riportandoli a gradi d’astrattezza i cui protagonisti si fanno le zonature nitide e asciutte di colore campito e le sinuosità lineari d’un comporre rastremato ai suoi momenti primi. E’ interessante notare come Zava decida di designare la forma/pittura a terminale del proprio processo concettuale e fabrile quando più siano evidenti i rapporti problematici dell’immagine con l’idea storica del rappresentare. Non è un caso che una serie quantitativamente minore come Pop Renaissance guardi a modelli artistici forti, da Arcimboldo a Caravaggio, nella stessa chiave operativa, quasi a voler sceverare analiticamente, e in chiave d’oggi, l’antico ammonimento su cui s’apre il De Prospectiva Pingendi di Piero della Francesca: “La pictura contiene in sé tre parti principali, quali diciamo essere disegno, commensuratio et colorare”. Né è un caso che la serie più cospicua del suo lavoro attuale, Summer Landscapes, muova da un’iconografia diretta – scene di bagnanti sulla spiaggia – ma già doublée da una prima forte mediazione estetica, quella rappresentata dal lavoro di autori come Martin Parr (così come in Private evidente, ed esplicitato, è il riferimento a Thomas Ruff). Agisce qui una sorta di operazione di superfetazione intellettuale a partire dall’approccio sottilmente grottesco, di dissoluzione per eccesso, tipico di Parr e della sua nozione di “propaganda”. La seduttività dell’immagine, anche in Zava, la sua stereotipizzazione, si fa la materia stessa dell’operazione, sino a rideclinarsi in visione criticamente lucida. Sono implicate qui alcune considerazioni, che Zava persegue con piglio non meno agguerrito, intorno alla consunzione dell’immagine nella cultura odierna, corrispondente a un declinare valoriale di più ampio spettro. Poltergeist, Metropolitan Ghosts, Ghost Metropolis sono lavori che espandono il proprio campo di riflessione dal trascolorare dell’identità appropriata dell’immagine a quello dell’identità tutta, umana, sociale. Sono, queste, come benjaminiane “immagini di città” in cui s’incrociano vicinanza partecipata e senso d’estraneità, avidità di impressioni e constatazione della smemoratezza ormai irrevocabile delle cose rappresentate.


Rossana Bossaglia

Zava si inserisce nella tradizione del vedutismo, ispirandosi a tematiche che potremmo definire convenzionali (il Duomo di Milano, il bacino di S.Marco a Venezia, e così via) se non fosse che proprio la convenzione è lo spunto per letture inquietanti e trasognate, comunque sempre simboliche: esse non tanto vogliono rappresentare i luoghi cui si ispirano, ma offrirceli come trasfigurazioni emotive. La Venezia che egli ci propone non è la città, bensì la sintesi delle iconografie da secoli sviluppate dagli artisti, che ci appaiono come smangiate dal tempo, cioè dalla memoria: non dunque un luogo, ma come il luogo ci è stato offerto attraverso le raffigurazioni artistiche. Anche la Milano cui egli si ispira e la circostante area lombarda appaiono luminose ma fatiscenti, non perchè siano tali nella sostanza, bensì tali nella memoria, nel ricordo di emozioni dirette, fantasmi di una tradizione rappresentativa. Il ricordo impasta, mescola, sgretola, trasforma in acqua i monumenti che l’acqua riflette; alle spalle di tutte queste iconografie si identifica un’intensa cultura visiva: non tanto i luoghi e i monumenti, ma come luoghi e monumenti sono stati raffigurati nello svolgersi del tempo; per quanto, ad esempio, concerne la Milano attuale vivacissima è la rappresentazione dell’incrocio con Ponte Vetero e l’immagine pubblicitaria proposta da Armani; e simbolicamente intenso, per non dire drammatico, è il confronto tra le guglie del Duomo e il grattacielo di Giò Ponti, l’antico e il moderno. A proposito dell’antico, Zava non soltanto si è soffermato sugli aspetti monumentali dei luoghi che ha considerato sia in forma diretta sia attraverso iconografie, ma si è immedesimato in situazioni ancestrali, rivivendo per esempio l’arte delle caverne: come l’abbiamo identificata attraverso recenti reperti e come la immaginiamo in trasfigurazioni fantastiche.


Anna Zanco-Prestel

Sin dagli esordi un protagonista della scena artistica italiana, Edegildo Zava si è da sempre orientato al modello del „Gesamtkunstwerk“. I suoi lavori sono pertanto il risultato di un felice connubio tra pittura, fotografia e design. Un mix che ai suoi occhi ben si conforma a rappresentare ed interpretare la complessità del nostro mondo. Con la sua seconda personale a Monaco di Baviera Zava si propone alla fine del 2011 ad un pubblico piú vasto negli spazi del Centro Culturale Pasinger Fabrik, una struttura industriale „rivitalizzata“ in una zona residenziale della capitale bavarese. Al centro di questa esposizione si pone una selezione di foto a colori che l’artista lombardo con radici venete ha realizzato tra il 2008 e il 2009. Soggetto delle serie Poltergeist e Metropolitan Ghosts – da quest’ultima prende anche nome la mostra - è la realtà sociale nel contesto urbano di una moderna metropoli che potrebbe essere Milano come anche New York. Personaggi spettrali si accompagnano qui e là a sparuti gruppetti di persone. Presenze quasi inquietanti come i clochard che, seguendo un rituale fatto di consuetudini, si preparano a trascorrere una notte all’addiaccio. „Scene cittadine“ tra realtà e una dimensione „altra“ nella quale una prossimità fatta di momenti condivisi va ad intersecarsi con un senso diffuso di estraneità, mentre la brama di sensazioni forti si fonde con la consapevolezza dell’irrecuperabilità degli attimi dimenticati. Zava, che non si considera esclusivamente un fotografo, utilizza la fotografia come mezzo per rappresentare soprattutto pensieri rispetto alle immagini, mentre lo scatto serve a testimoniare azioni e dichiarazioni d’intenti. Il contesto nel quale si compie la sua ricerca, il suo stesso sperimentare muove da una riflessione che trascende l’immagine in sé la quale, artisticamente trasfigurata, acquista un’identità nuova arricchendola di un messaggio universale che investe la sfera sociale e umana in senso lato.


Teodosio Martucci

La pittura di Edegildo Zava si determina nelle concretezza del colore, nella vivacità delle atmosfere che trasfigurano il dato naturalistico. Un linguaggio, quello dell’artista, intensamente espressivo, definito del magico accendersi delle emozioni. Le sue composizioni ispirano un senso di schietta e vibrante poesia.


Dino Meda

Frequentando il suo studio noto che, prima di avvicinarsi al cavalletto, prepara mentalmente lo studio dell’opera da realizzare, facendo schizzi, ricerche per presentare sempre nuovi linguaggi espressivi non ripetitivi.


Giovanni Monteforte Bianchi

Ci sono artisti che si battono per il ritorno alla concezione del bello, ispirandosi alla realtà ed alla natura.
Edegildo Zava può a pieno titolo essere annoverato tra questi artisti, nel rappresentare la realtà, nella ricerca della riproduzione della natura e delle sue funzioni. Tutto questo non intendendo la pittura in quel modo tradizionale un pò scontato e manierista di fare arte in maniera accademica, ma per descrivere ed illustrare tematiche che gli stanno a cuore.


Giorgio Rota

La pittura di Edegildo Zava esprime emozioni gradevoli e sommesse, che sgorgano spontanee dal cuore come un’eco solare ed ininterrotta di equilibrata ed incantata armonia. La vita, nel suo scorrere, viene presentata come un eterno mattino di luminosa intimità, di gioiosa serenità e di seducente invito a sperare e ad amare.

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